Natura in pixel: Un libro sui videogiochi per la beneficenza ambientale (CALL FOR PAPERS – Naturalmente gioco, fase finale)

Se fino a fino a poco tempo fa qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei avuto tra le mani un libro con il mio nome in copertina non so se ci avrei creduto. E invece eccoci qui.

Natura in pixel è il frutto del lavoro di tante persone – un insieme di memorie, saggi e testi che raccontano del legame tra il mondo dei videogiochi e l’ambiente (al di là del lavoro effettuato nella parte introduttiva, il mio contributo si focalizza su The Sims 4: Vita Ecologica).

È stato un bellissimo viaggio, durato un annetto (o poco più), e iniziato grazie a una semplice proposta di Francesco Toniolo alla Milan Games Week 2022 (del resto, quale luogo migliore per parlare di un progetto del genere?).

Come menzionato tempo addietro nel primo post che ho condiviso qui sul mio blog in merito all’iniziativa (all’epoca intitolata “Naturalmente gioco”), l’intero ricavato servirà per sostenere l’Oasi Lipu Bosco del Vignolo (un bellissimo parco naturale in provincia di Pavia) – a mano a mano daremo prova di tutte le donazioni effettuate (onde evitare di essere associata a una mia ben più nota omonima, perlomeno quando si tratta di beneficenza).

Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma per non tediarvi troppo preferisco fermarmi qui. Un gigantesco grazie va ovviamente a Francesco per avermi coinvolta dalle origini nella realizzazione del libro, così come a tutti coloro che hanno risposto alla nostra call for papers nei mesi scorsi: senza di voi, Natura in pixel non esisterebbe! 🌱💚


Il libro può essere acquistato qui:
Natura in pixel: Un libro sui videogiochi per la beneficenza ambientale

“Abbiamo alterato la nostra chimica”: Elemental, il potere del passaparola e il vero amore che commuove (quasi come Up)

Mettiamolo subito bene in chiaro, onde evitare fraintendimenti: no, Elemental non vi farà versare fiumi di lacrime al pari della sequenza iniziale di Up. Ma la storia di Ember e Wade è comunque commovente, tanto commovente. Ed è una delle versioni più realistiche del fantomatico “vero amore” che ci sia stata raccontata finora dal duo Disney-Pixar, nonché un esempio lampante di quanto il passaparola possa riuscire laddove il semplice marketing ha fallito.

Millantato come un flop colossale da parte di diverse testate, il destino di Elemental è stato fin da subito segnato dai riflessi di una strategia commerciale disseminata di lacune e di scelte particolarmente discutibili. Mi riferisco soprattutto a problemi legati a questi aspetti:

  • La stagionalità: in Italia, così come in altri Paesi, i cinema tendono a svuotarsi nel periodo estivo (potrei sbagliarmi, ma in generale mi sembra che sia abbastanza raro che il box office venga sfondato durante i mesi più caldi dell’anno, perlomeno da parte di film che non appartengono a franchise già consolidati – e anche in quest’ultimo caso, mi sembra comunque doveroso sottolineare il fatto che Indiana Jones e il quadrante del destino sia attualmente nella top 15 dei flop più colossali di Disney).
  • Lo statuto del cinema come settore e il ruolo delle piattaforme di streaming: che la pandemia abbia dato uno schiaffo non indifferente al settore del cinema è ormai risaputo. E altrettanto risaputo è il fatto che le piattaforme di streaming abbiano peggiorato (di molto) la pigrizia innata delle persone (me compresa, sia chiaro), dando loro un motivo ulteriore per non uscire di casa e godersi i film direttamente in salotto. Questo rischio, purtroppo, è sempre dietro l’angolo e difficilmente evitabile.
  • La campagna promozionale e i (pochissimi) trailer: sapevate che Elemental è uscito nelle sale italiane il 21 di giugno? No? E invece LO SAPEVATE CHE HALLE BALEY È LA VERA ARIEL E CHE LA SIRENETTA È IL FILM NUMERO 1 IN ITALIA? LO SAPEVATE? ORA LO SAPETE! E CONTINUERETE A SAPERLO PER ALMENO DUE MESI, OGNI SINGOLO GIORNO! … pirlonate a parte, e al di là della mia opinione sul live-action de La Sirenetta, quello che intendo dire è che Elemental non ha goduto di una campagna di marketing minimamente paragonabile a quella di altri prodotti. Per niente. Insomma, anche quando i film Pixar hanno la fortuna di essere rilasciati nelle sale, Disney sembra propendere per una promozione “al ribasso”, quasi a voler oscurare il lavoro della casa di produzione. Il che, per un film dal costo pari a 200 MILIONI di dollari (e in generale per un’azienda che vive di questo, nonostante i numerosi sbocchi commerciali collaterali), sembra decisamente una strategia priva di senso.
  • L’uscita di Indiana Jones e il quadrante del destino: questo punto parla molto da sé. Pur tenendo in considerazione ciò che ho scritto all’inizio dell’elenco, in quale universo l’uscita quasi in contemporanea di Elemental e del nuovo Indiana Jones sarebbe potuta essere completamente scevra dal rischio della cannibalizzazione reciproca?
  • La non-appartenenza a un franchise consolidato: quest’ultima considerazione è stata già in parte anticipata e ha molto a che vedere con quella precedente. Elemental è una produzione originale, e perciò priva di appigli sicuri che ne avrebbe potuto garantire (o perlomeno salvaguardare parzialmente) il successo immediato. Del resto, al giorno d’oggi persino il “sigillo di qualità” del marchio Disney-Pixar non è più sufficiente a pareggiare i conti (i recenti flop – quelli veri, come lo sfortunatissimo Strange World – ne sono un esempio lampante, purtroppo).

Tuttavia, contrariamente alla politica disfattista che ne ha governato la comunicazione nelle prime settimane successive al rilascio, quella di Elemental è stata una storia a lieto fine: al momento della stesura di questa piccola riflessione, il film ha infatti incassato una buonissima somma di oltre 480 milioni di dollari, superando di gran lunga i 200 necessari alla sua realizzazione. E tutto grazie a una strategia tanto banale quanto efficace: il passaparola. Una strategia bottom-up, di fatto, che è riuscita in tempo record a garantire la rinascita di Elemental e a traghettarlo a una distanza di meno di 100 milioni di dollari da La Sirenetta, che oltre a essere stato iper-comunicato (praticamente ai limiti della saturazione) era quasi del tutto al riparo dai rischi di cui ha sofferto l’ultima fatica Pixar (fatta eccezione per il ruolo delle piattaforme di streaming, se vogliamo).

La verità è che Elemental, nella sua (graficamente stupenda) semplicità, racconta una storia accessibile a tutti, avvalendosi di metafore incisive, dirette, e tuttavia squisitamente originali, senza mirare a tematiche troppo complesse per il pubblico al quale intende rivolgersi (Soul è un esempio di quest’ultima casistica, per quanto io lo abbia apprezzato) e senza fare della storpiatura dei nostri ricordi d’infanzia il suo cavallo di battaglia.

Elemental è un Romeo e Giulietta dei tempi moderni: due ragazzi appartenenti a famiglie e mondi diversi si innamorano perdutamente l’uno dell’altra, e grazie al loro legame riescono a dimostrare che anche fuoco e acqua possono stare insieme, alterando la loro chimica per far sì che il fuoco non si spenga a causa dell’acqua e che l’acqua non evapori a causa del fuoco.

Detto altrimenti, l’amore tra Ember e Wade è più forte delle stesse leggi della natura e della segregazione culturale che, così come succede tuttora in certi segmenti della nostra realtà, domina all’interno del mondo elementale: la paura dell’altro, del diverso, di ciò che, a torto o ragione, è percepito come più pericoloso (il fuoco) impedisce inizialmente ai due ragazzi di stare insieme. E tuttavia, uno degli aspetti più apprezzabili del film riguarda proprio l’apertura mentale di una delle due parti in gioco: contrariamente alla storia shakespeariana a cui il lungometraggio sembra ispirarsi, il rapporto tra Ember e Wade è contrastato solo dalla famiglia di lei, da dei retaggi culturali distorti e dall’inevitabile chiusura che da essi deriva.

Detto altrimenti, Elemental vuole insegnarci che

  1. Per quanto importante, il valore delle tradizioni non dovrebbe mai impedire ai giovani di compiere le proprie scelte (un messaggio che è stato al centro anche di un altro recente lungometraggio Pixar – Red, di Domee Shi)
  2. Le famiglie più benestanti e altolocate non sono sempre portatrici di paure e pregiudizi (i parenti di Wade, che oltre a essere tutti composti di acqua sono stati anche rappresentati come particolarmente facoltosi, non si sono mai opposti all’unione tra i due ragazzi)

Nel suo fare uso della metafora elementale per avanzare l’ipotesi che anche le categorie più fragili ed emarginate possono talvolta contribuire alla loro stessa emarginazione, la presa di posizione del regista Peter Sohn (lui per primo figlio di immigrati coreani) appare squisitamente disruptive, soprattutto nel panorama contemporaneo dell’animazione.

Che sia questo il vero motivo per cui Disney ha preferito ridurre al minimo la comunicazione riguardante il nuovo gioiellino Pixar, soprattutto alla luce di determinate scelte prese in tempi piuttosto recenti? Purtroppo temo che non lo scopriremo mai.

E, forse, è meglio così.

Sull’orlo del precipizio: un paradosso chiamato (RW)BY. Il queerbaiting come strategia di marketing del nuovo millennio

Era il lontano 2015 quando, quasi per puro caso, mi imbattei in un’apparentemente innocua webserie con tutte le pretese di essere eletta pioniera del semi-sconosciuto genere degli “American anime”1: RWBY. Partorita dalla fervida mente dell’animatore indipendente Monty Oum (pace all’anima sua), RWBY racconta la storia di quattro giovani ragazze con un sogno nel cassetto: frequentare la prestigiosa accademia di Beacon, uccidere mostri (i cosiddetti “Grimm”), e diventare delle “cacciatrici” (huntresses) in piena regola.

Una premessa semplice (ma efficace) per un anime che si prospetta ricco d’azione. E difatti le prime stagioni (per quanto qualitativamente scadenti, considerato il budget a disposizione) non hanno deluso da questo punto di vista: coreografie ben elaborate erano in grado di mascherare anche il più ridicolo dei glitch grafici, e la caratterizzazione di determinati personaggi faceva passare in secondo piano anche una sceneggiatura impacciata e un doppiaggio decisamente molto, molto amatoriale. E sorvoliamo pure su tutti i problemi legati al copyright dei modelli 3D utilizzati – a quell’epoca (la prima stagione di RWBY è stata rilasciata nel 2013) l’Internet della cancel culture era ancora troppo agli albori per movimentarsi contro una serie che stava palesemente rubando proprietà intellettuali altrui per i propri scopi di lucro (anch’io ho creato modelli 3D con questi stessi asset più e più volte, e posso confermare che sì, le regole ne vietano esplicitamente la monetizzazione).

Ma, come dicevo, sorvoliamo pure su tutte queste considerazioni. Il punto è un altro: durante i primi episodi, RWBY ci ha presentato il team delle quattro ragazze come una “sisterhood“, letteralmente una “sorellanza”, un gruppo di quattro giovani donne dai caratteri forti, quasi in contrasto le une con le altre (persino Ruby e Yang, pur essendo consanguinee, sono meno compatibili di quanto si creda), ma che col passare del tempo (e la convivenza forzata) imparano a conoscersi meglio, a crescere insieme, a maturare e a superare i propri traumi del passato. Il tutto mentre il male dilaga e loro, come ogni buon protagonista anime che si rispetti, decidono di punto in bianco di voler (e poter) essere le paladine del mondo intero – un gesto encomiabile, se non fosse che qui stiamo parlando di minorenni con un’esperienza nel combattimento sicuramente inferiore a quella dei cacciatori più esperti.

Ma, ancora una volta, sorvoliamo su quest’ultima considerazione. Del resto, la famosa “sospensione dell’incredulità” serve proprio a questo, no?

“No one watches RWBY anymore”

Lo stato dello show al momento è particolarmente dibattuto. In mezzo a visualizzazioni dei contenuti su YouTube numericamente non paragonabili alle origini e valutazioni su IMDb altrettanto poco lusinghiere (7,4/10 per la stagione 6, 6,4/10 per la stagione 7 e 5,3/10 per la stagione 8), diversi indizi sembrano propendere verso un significativo calo dell’audience. Nel mentre, Rooster Teeth, la compagnia responsabile di mandare avanti l’intera baracca, non ha solo dovuto licenziare un numero consistente di membri del suo staff, ma è anche finita più di una volta nell’occhio del ciclone per via di denunce a carico dei propri dipendenti e amministratori (denunce di ogni tipo, dall’imposizione del cosiddetto “crunch time2 agli animatori fino agli abusi domestici e all’omofobia). Il tutto aggravato da una costante presenza social di molte delle “menti” (termine appositamente messo tra virgolette) responsabili della produzione di RWBY: nulla di sbagliato nel voler essere attivi online e nel voler dialogare con il proprio pubblico, ma farlo in maniera corretta non è decisamente un compito alla portata di tutti (soprattutto quando con le proprie parole si finisce per rispecchiare il pensiero e l’immagine di un’intera azienda).

Un esempio recente? Questa risposta data da una delle animatrici assunte per lavorare alla nona stagione dello show.

Mi sembra incredibile doverlo chiarire, ma loro [ndr, poi parleremo di chi] non sono state rese canon3 solo per avviare la produzione della decima stagione, fottutissimo branco di scimmie [ndr, una traduzione vera e propria del termine “snot monkey” non sono stata in grado di trovarla]. Per cui ammettete di odiare le persone gay e chiudete il becco

Una dichiarazione particolarmente interessante alla luce del tweet subito sotto, che recita

Vi prego, fate in modo che l’afflusso di persone gay verso RWBY grazie a questo episodio sia, da solo, sufficiente a dare il via libera alla produzione della decima stagione

Insomma, dall’esposizione mediatica che si sceglie per sé stessi derivano anche tante responsabilità. E Rooster Teeth queste responsabilità non sembra averle particolarmente a cuore, perché questo tipo di atteggiamento (così come l’usanza di fomentare teorie e speculazioni dei fan, inevitabilmente sconfinando prima o poi nel territorio spoiler) non viene mai ufficialmente represso da parte dell’azienda. Anzi: prassi vuole che più le polemiche crescono, più i membri della compagnia vi prendano attivamente parte, dimostrando anche di schierarsi in maniera chiara e precisa all’interno dei dibattiti dei fan (anziché tentare di sedarli o, meglio ancora, facendo finta di niente).

Un piccolo excursus nelle rappresentazioni LGBTQ+ nell’animazione

L’esempio più lampante di questa dinamica (nonché quello al centro di questo articolo), ha a che vedere con una delle ship più popolari (se non la più popolare, ahimè) dell’intero show: Bumbleby, nome che rimanda sia al bombo (l’ape paffuta), sia, nella sua forma abbreviata “BY”, alla fusione delle iniziali di “Blake” e “Yang” (nonché dei loro rispettivi colori dominanti, il nero e il giallo). In sostanza, la coppia formata dai due personaggi raffigurati nell’immagine d’intestazione e nella galleria qui sotto. Una coppia palesatasi nei sogni e nelle fantasie del pubblico dello show sin dalla pubblicazione dei primi trailer, quando di RWBY (e dei suoi protagonisti) si sapeva poco o niente.

Perché? La risposta è sempre la solita: chi lo sa.

Forse perché qualcuno ha ravvisato dei collegamenti particolari nei testi delle canzoni di sottofondo usate per presentare i personaggi (dove Blake viene descritta come “la bestia” – “black the beast” – e Yang come “la bella” – “yellow beauty” –4), ma anche – e questa è la risposta più scontata quanto veritiera – perché si tratta di due belle ragazze, e vedere due belle ragazze sbaciucchiarsi è il sogno proibito di molte persone (tanto da diventare, nei casi più estremi, una vera e propria ossessione). In mezzo a questo continuum c’è anche chi vede nelle coppie LGBTQ+ un possibile specchio nel quale riflettersi, aggiungendo a questo desiderio la speranza che i new media possano funzionare da volano per l’apertura mentale di quella parte del mondo ancora troppo radicata nei propri (antichi ed errati) preconcetti.

Un sogno indubbiamente nobile e che, nel corso degli anni, ha ottenuto il supporto da parte di diverse case di produzione: restando all’interno del perimetro dell’animazione, si possono nominare almeno cinque coppie “pionieristiche” di questo movimento, come quelle composte da Luz e Amity di The Owl House (in gergo “Lumity”), Catra e Adora di She-Ra (“Catradora”), Harley Quinn e Poison Ivy dell’universo DC (“Harlivy”), Korra e Asami di The Legend of Korra (“Korrasami”) e Marceline e Princess Bubblegum di Adventure Time (“Bubbline”).

In linea generale, e per diversi motivi, appare chiaro che il mondo dell’animazione sembri propendere maggiormente verso la rappresentazione di coppie omosessuali composte da due donne anziché da due uomini. E anche laddove il personaggio dichiaratamente LGBTQ+ sia solo uno, l’apertura in questo senso sembra essere avvenuta soprattutto sul versante femminile.

Motivo per cui una certa porzione di fan di RWBY ha sempre nutrito grandissime speranze nei confronti della loro amata Bumbleby (e non solo, ovviamente – tant’è che l’attività dello “shipping” è diventata sempre più preponderante tra i membri del pubblico di questo show, arrivando praticamente a soverchiare l’interesse degli stessi verso la trama).

Al che voi vi chiederete: e dove sta il problema? Perché ne stiamo parlando, se non per elogiare il fatto che anche Rooster Teeth abbia finalmente deciso di compiere questo importante passo in avanti verso l’inclusività?

Il problema è che, agli occhi di tante persone, la Bumbleby è sempre e solo stata un mero strumento di marketing. Tutto, fuorché una storia d’amore genuina e costruita per rispondere a dei nobili intenti: un egregio caso di queerbaiting (strategia che consiste nell’attirare l’attenzione del pubblico con indizi a favore di una coppia omosessuale che potrebbero anche non portare da nessuna parte – letteralmente, “un’esca queer“) durato per ben 10 anni.

“Just say it, Yang”

Se già nei volumi precedenti l’attenzione dalla trama veniva spesso e volentieri dirottata su Blake e Yang per via di uno sguardo, una risatina o frasi dal significato ambiguo, nella stagione 9 questa dinamica “will they, won’t they?” viene portata all’estremo, propinandoci interazioni sempre più “spinte” (arrossamenti delle guance, sfioramenti di mani, carezze) fino al momento della confessione, forzata tanto quanto tutto il resto, se non di più.

Nel corso del sesto episodio Blake e Yang si trovano, per un motivo non ben precisato, agli estremi di un ponte magico sospeso nel nulla, e per salvarsi la pelle devono confessarsi a vicenda delle verità che non hanno mai avuto il coraggio di ammettere (ogni verità corrisponde a un numero diverso di tavole di legno – più la verità è “emotivamente importante”, maggiore è il numero di tavole che compaiono).

Ora, non so voi, ma io qui non vedo altro che una forzatura nella forzatura (tant’è che alcuni fan della coppia non sono rimasti per niente soddisfatti da questa scena… e ho detto tutto!): del resto, pensandoci bene (ma neanche tanto), Blake e Yang sono state letteralmente costrette a mettersi insieme per poter sfuggire a morte certa.

E dato che al peggio non c’è mai davvero limite, mi sembra essenziale sottolineare il fatto che oltre ad avere completamente stravolto la caratterizzazione di questi personaggi, il loro inciucio sia anche stato usato come pretesto per portare la protagonista principale della storia sull’orlo della massima depressione: sentendosi trascurata da tutti e dovendosi fare carico di pesi emotivi che una ragazzina di 17 anni non dovrebbe mai essere costretta a sopportare, nel corso di uno degli ultimi episodi della nona stagione Ruby (la sorellastra di Yang, ricordiamolo) decide di bere un tè “avvelenato” nella speranza di togliersi la vita. Il tutto dopo aver adeguatamente riversato le sue frustrazioni sulle piccioncine, in una scena che è presto culminata in una serie di meme intitolati “Homophobic Ruby” (vedi l’ultima immagine della galleria qui sotto), e che per un po’ di tempo sono diventati più popolari dello show stesso.

È davvero questa la rappresentazione di cui abbiamo bisogno?

I tre pilastri: queerbaiting, marketing e forzature

Per farla breve (mi sto già dilungando troppo): dal 2013 al 2023, come ho già anticipato, la possibile storia d’amore tra Blake e Yang è stato uno dei principali (se non IL principale) veicolo di marketing responsabile della sopravvivenza dello show. Tant’è che nelle prime stagioni (quantomeno fino al volume 6) le due non hanno mai intrattenuto interazioni e scambi che non potessero essere intesi in maniera del tutto platonica (guardare per credere).

Lo store ufficiale di Rooster Teeth decide di vendere una felpa dedicata alla ship circa due anni e mezzo prima che quest’ultima sia resa ufficiale (da notare la didascalia!)

E ciononostante, sin dal principio, le loro doppiatrici (Arryn Zech e Barbara Dunkelman rispettivamente) hanno cavalcato con decisione l’onda dello “shipping“, dando costante adito alle speculazioni dei fan più inferociti e facendoci talvolta dimenticare (o forse dimenticandosi loro stesse) di essere parte dello staff che lavora dietro le quinte anziché semplici membri del pubblico. Una sorta di inside joke, magari un modo ritenuto innocente per interagire di più con la propria audience, che però (come del resto prevedibile nell’era del web 2.0) ha progressivamente perso ogni venatura ironica per trasformarsi in una battaglia (a tratti dichiarata) con l’obiettivo ultimo di smuovere alcuni delicati equilibri. Il tutto supportato (per non dire giustificato, o forse addirittura scaturito) dal fatto che Arryn stessa sia bisex: ora, sebbene proiettare parti della propria identità nei personaggi di finzione non sia sbagliato (io stessa lo faccio con i personaggi che creo), rivedere in Blake una copia sempre più sputata della sua doppiatrice ha finito con lo snaturarne determinati aspetti che la rendevano davvero unica e originale.

Insomma, lo dico chiaro e tondo (anche perché giuro che non sono l’unica a pensarlo): quella delle recenti stagioni non è più Blake.

E questo, per uno storyteller, dovrebbe essere uno dei fallimenti più grandi: confondere il sano (e sacrosanto!) character development con il totale ribaltamento dell’identità del personaggio, tanto da renderlo praticamente irriconoscibile.

Non solo: tornando alla storia, per ben cinque volumi (e durante la serie spin-off, RWBY Chibi) l’interesse romantico di Blake è stato palesemente rivolto nei confronti di Sun Wukong, un personaggio introdotto nel corso dei primi episodi (con una scena che ai fini di questo articolo vi consiglio di vedere qui, a partire da 3:30 circa) come primo vero amico e confidente che la ragazza abbia mai avuto, nonché l’esatto contrario di Adam, il crudele e violento leader di un movimento di rivolta terrorista di cui Blake è stata per anni innamorata prima di fuggire di casa e raggiungere l’accademia di Beacon.

Una parte di me potrebbe anche arrivare ad accettare il fatto che quella di Blake per Sun sia stata sempre e solo pensata come una cotta passeggera. Tutto sommato, nel mondo reale così come in quello fittizio, l’amore non deve essere necessariamente qualcosa di immutabile e deciso a tavolino, e non sarebbe nemmeno la prima volta in cui due personaggi di un universo animato perdono d’interesse l’uno per l’altra (Miraculous Ladybug, sto guardando proprio te).

Ma nel momento in cui lo shift totale e improvviso di attenzione da una coppia a un’altra (di cui la seconda curiosamente LGBT) avviene in concomitanza al calo di audience e di apprezzamento verso una serie, due domande te le fai.

Del resto, quello di RWBY con la community LGBTQ+ è sempre stato un rapporto particolarmente problematico, tra personaggi omosessuali assetati di sangue e vendetta, morti o così tanto secondari da finire ben presto nel dimenticatoio (per non parlare poi della stessa Rooster Teeth, che negli anni ha accumulato denunce e accuse di ogni tipo su questo fronte). Messo tutto questo insieme e sommandolo al fatto che la nona stagione dello show sia arrivata con un inspiegabile ritardo di circa due anni e mezzo (e no, il COVID non c’entra, dato che il volume 8 ha visto la luce a novembre 2020), appare chiaro che la “canonizzazione” di Blake e Yang come prima coppia LGBT della serie (perlomeno tra i protagonisti della stessa) non sia stata una mossa casuale.

Per 10 (lunghi) anni, Rooster Teeth ha sondato il terreno: ha capito che la popolarità di RWBY stava cominciando a vacillare (complice la prematura dipartita di Monty), ma ha anche capito che il trend delle coppie LGBT nei prodotti d’animazione (e non solo) stava via via prendendo sempre più piede. Di conseguenza, se fino alla stagione 8 Bumbleby è stata trattata un po’ come la carota che penzola davanti agli occhi dell’asino, il volume 9 ha segnato il definitivo raggiungimento della cosiddetta “ultima spiaggia“: messa alle strette, la compagnia ha deciso di salvare capra e cavoli dando a ciò che restava della fanbase di RWBY il tanto (fin troppo) desiderato bacio tra Blake e Yang, ufficializzando una volta per tutte i sentimenti dell’una verso l’altra. E l’ha fatto, non senza una certa dose di ironia, con una scena (quella del ponte) che sembra metaforicamente in grado di rappresentare in maniera perfetta tutta questa situazione.

Due, anzi tre (più uno “extra”) gli obiettivi principali, che a parer mio hanno poco a che vedere con l’inclusività in senso stretto:

  1. Attirare a sé un esercito di nuovi spettatori ignari dei trascorsi del fandom e di Rooster Teeth, e soprattutto disposti a credere all’idea che Blake e Yang sarebbero dovute stare insieme sin dall’inizio (anche se basta poco per accorgersi del contrario)
  2. Sanare un po’ l’immagine della compagnia per quanto riguarda il suo rapporto con la comunità LGBTQ+
  3. VENDERE GADGET (e chi non vorrebbe spendere la bellezza di circa 60 euro per una felpa di dubbia qualità? O 32 euro per una maglietta con uno dei peggiori design mai visti nella storia del merchandising?)
  4. Promuovere una collaborazione di Barbara e Arryn su OnlyFans (sì, avete capito bene)

In tutto ciò mi preme inoltre specificare una cosa: Bumbleby non è stata la prima coppia romantica di protagonisti a essere resa ufficiale dallo show. Prima di lei, in ordine cronologico, abbiamo avuto Arkos (Jaune Arc + Pyrrha Nikos) e ReNora (Ren + Nora):

Entrambe amate dal pubblico, entrambe etero, ed entrambe, stranamente, dimenticate dal marketing.

Per concludere

Trattandosi di una storia che si trascina ormai da 10 anni, un solo articolo non è davvero sufficiente a sviscerare in maniera esaustiva tutti i risvolti di questa faccenda. Ciò che mi premeva mettere nero su bianco, però, è quanto quella di Rooster Teeth sia stata una strategia davvero di pessimo gusto.

Non solo perché sfrutta la popolarità delle coppie LGBT come sterile veicolo di immagine e di marketing, propinandoci una storia d’amore senza capo né coda, ma anche perché premia la porzione del fandom complessivamente più aggressiva, sgradevole e ossessionata di tutte: nel corso del mio articolo questo tema è stato toccato poco, quasi per niente (principalmente perché richiederebbe un essay a sé stante, che non escludo di scrivere un domani), ma la sua rilevanza non è da sottovalutare. Per non dilungarmi in spiegazioni troppo arzigogolate, lo riassumo con una metafora: la canonizzazione della Bumbleby può essere paragonata alla caramella regalata al bambino che urla, piange e morde gli altri suoi coetanei per ottenere quello che vuole. Solo che in questo caso le urla, i pianti e i morsi vengono sostituiti da bullismo, generale maleducazione e sporadiche (ma non così rare) minacce di presunta omofobia e/o di morte verso chiunque non apprezzi Blake, Yang o la coppia che formano. Non da parte di tutti, certo, ma di una buona porzione dei sostenitori della Bumbleby. Il che, a mio avviso, è comunque un atteggiamento non accettabile e che non andrebbe gratificato in alcun modo, perlomeno quando è chiaro che anche chi lavora dietro le quinte dello show abbia più di una volta toccato con mano la gravità di questa situazione (nel 2017 è stata presa di mira persino la stessa Arryn!).

Arryn si pente (per cinque minuti) di essersi immischiata nelle faide interne alla community

Non si tratta, che ne dicano alcuni, dell’ennesimo caso di omofobia, di incapacità di accettare l’orientamento sessuale di alcuni personaggi o di una semplice ripicca da parte dei sostenitori della BlackSun (Blake + Sun), no.

Si tratta di una scelta presa per sterili ragioni commerciali che porta con sé delle conseguenze negative su tutti i fronti, dall’immagine di RoosterTeeth in quanto compagnia ormai sull’orlo del baratro e disposta a qualsiasi mezzuccio pur di salvarsi, fino allo stravolgimento della trama che Monty desiderava così tanto raccontare e dei suoi personaggi, entrambi sacrificati in nome di una storia d’amore (se così si può chiamare) costruita su fondamenta tutt’altro che solide.

Insomma, se c’è qualcosa che tutto questo può insegnarci, è che con la giusta dose di insistenza, arroganza e maleducazione si ottiene tutto. A tal proposito…

Qui sopra potete vedere alcuni fan della Bumbleby che ammettono – molto fieramente – di aver bullizzato l’account Twitter ufficiale dello show affinché dedicasse almeno un post alla loro amata ship durante il mese del Pride.

Alla luce di tutto ciò che avete letto, ve lo chiedo di nuovo: è davvero questa la rappresentazione di cui abbiamo bisogno?

Se non altro, la dilazione sospetta nel celebrare il Pride month da parte di RoosterTeeth e l’altrettanto sospetto rifornimento di gadget a tema Bumbleby nello store ufficiale durante i 30 giorni appena trascorsi sembra essere stato il pretesto perfetto affinché alcuni fan della coppia cominciassero a levarsi il prosciutto dagli occhi da soli.

… meglio tardi che mai.


1 Prodotti d’animazione che rispondono in tutto e per tutto ai canoni tipici degli anime giapponesi, ma che non provengono dal Giappone

2 Momento critico durante il quale un team di lavoro è sottoposto, da parte dei piani alti, a un carico di pressione eccessivo pur di rispettare determinate scadenze

3 In gergo tecnico, con “canon” (o “canonico”, volendolo tradurre in italiano) si intendono tutti quegli elementi di trama che fanno ufficialmente parte di una determinata opera narrativa (che “rispettano il canone” e le regole di un determinato mondo fittizio, insomma). Spesso e volentieri, le cosiddette “ship” (coppie romantiche di personaggi) nascono e si sviluppano all’interno dei prodotti ideati dai fan, senza necessariamente essere rese ufficiali dagli autori della storia originale.

4 Il che ignorerebbe completamente le dichiarate (!) ispirazioni “fiabesche” di entrambi i personaggi (dichiarate dai creatori dello show, s’intende): per il suo essere metà umana e metà animale (nell’universo di RWBY questa categoria di persone sono i cosiddetti “Faunus”), Blake rappresenta sia la bella, che la bestia (il suo cognome – Belladonna – e la sua passione per i libri sono un chiaro rimando a Belle), mentre Yang si ispira direttamente a Riccioli d’oro.

Quel maledetto genio di Hans Zimmer [Hans Zimmer Live, Bologna 2023]

Che cos’è la musica, se non un meraviglioso accostamento di rumori? Un sano trambusto che la matematica sa rendere armonia?

La musica è questo e molto di più: è linguaggio, è storia, è emozione.

Ma è nelle mani di Hans Zimmer (e di pochi altri) che la musica riesce a diventare pura magia.

Mercoledì 3 maggio ho avuto l’occasione (e oserei dire anche l’onore) di assistere per la prima volta nella mia vita al concerto Hans Zimmer Live, la tournée internazionale del compositore tedesco già vincitore (o candidato vincitore) di un’invidiabile sfilza di premi: 12 Oscar, 10 BAFTA, 15 Golden Globe e 20 Grammy. Tutto questo unito a più di 30 anni di carriera a Hollywood e oltre 500 progetti, come si legge sul suo sito.

Nel 2023 il concerto è tornato a far tappa anche in Italia (precisamente a Torino e a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna) e i biglietti sono stati presi d’assalto in men che non si dica.

La scaletta di brani eseguita è stata la seguente (se non conoscete Hans Zimmer vi basterà leggere questa lista per rendervi conto di quante volte avrete ascoltato le sue soundtrack senza saperlo):

PRIMO ATTO

House Atreides (Dune)

Mombasa (Inception)

Wonder Woman (suite)

Man Of Steel (L’uomo d’acciaio; suite di brani)

Gladiator (Il Gladiatore; suite di brani)

Pirates of the Caribbean (I Pirati dei Caraibi; tema di Jack Sparrow + suite di brani)

SECONDO ATTO

Top Gun: Maverick

The Last Samurai (L’ultimo samurai; suite di brani)

The Dark Knight (Il cavaliere oscuro; suite di brani)

Dark Phoenix (X-Men: Dark Phoenix; suite di brani)

Paul’s Dream (Dune)

Interstellar (suite di brani)

The Lion King (Il re leone; He lives in you + suite di brani)

Per un totale di 180 minuti (intervallo compreso).

Sembrano tanti, ma la verità è che queste tre ore volano come niente (e se lo dico io che di solito evito i concerti come la peste nera, potete crederci).

Non aspettatevi assolutamente di vedere il tipico spettacolo con un direttore d’orchestra, uno stuolo di musicisti fermi sul posto e qualche proiezione sullo sfondo: le proiezioni ci sono, certo, ma sono solo uno dei tanti elementi scenografici che concorrono a fare di Hans Zimmer Live una performance esplosiva e altamente immersiva. Vi lascio qui sotto un paio di foto scattate da me che penso possano rendere un po’ l’idea di ciò che intendo.

In mezzo a tutta questa coreografia di luci, alle proiezioni, agli acrobati e all’ensemble di ballerini-cantanti-musicisti, Zimmer non sta (quasi) mai fermo: suona vari strumenti, scende dal palco, corre a baciare qualcuno (una nuova fiamma? Una delle sue vecchie mogli?) seduta in platea. Sin dai primi minuti si dimostra allegro, sorridente, in totale simbiosi con la sua amata chitarra e fiero portatore dell’outfit più tedesco del mondo (mancavano solo gli iconici sandali con calzino!). Quel poco di italiano che conosce lo sfoggia subito, per salutare e ingraziarsi il suo pubblico, prima di cominciare a comunicare con noi in inglese per introdurre ogni singolo brano (o quasi).

L’unica pecca? La totale assenza di un display con la traduzione dei suoi monologhi: per mia fortuna non ne ho avuto bisogno, ma in compenso ho dovuto fare da interprete per mia mamma, seduta accanto a me. Sia chiaro: la cosa non mi pesa per niente, ma non tutti masticano bene l’inglese, e non tutti sono accompagnati da persone in grado di fare quello che ho fatto io. Per cui il problema, se così vogliamo definirlo, resta. Ma di certo non si tratta di qualcosa in grado di minare la qualità complessiva dell’evento.


In definitiva, Hans Zimmer Live è un appuntamento imperdibile non solo per i fan del compositore, ma per gli appassionati della buona musica (e del buon cinema) in generale.

Un appuntamento che, se mai tornerà in Italia, non credo proprio che mi lascerò sfuggire.

L’ottava arte, il videogioco [Charlot, Rete Due, Radiotelevisione svizzera]

Il 25 aprile sono stata contattata e intervistata da Rete Due (il secondo canale appartenente a RSI, la Radiotelevisione svizzera) a proposito del rapporto tra i videogiochi e il teatro.

La puntata è andata ufficialmente in onda ieri alle 14:35. Se vi interessa, potete ascoltare il mio intervento qui, a partire da 30 minuti circa dall’inizio della registrazione.

Ne approfitto anche per ringraziare di cuore Mario Fabio per l’opportunità, la gentilezza e soprattutto per l’insistenza (in senso buono) – in un primo momento la me introversa e timidina stava per tirarsi indietro… ! 😅

CALL FOR PAPERS: Naturalmente gioco (fase 1)

Con questo post sono fiera e felice di annunciare la mia partecipazione al progetto “Naturalmente gioco” in quanto co-curatrice di un nuovo libro sui videogiochi a scopo benefico.

La call è aperta a chiunque sia appassionato del medium videoludico: nelle immagini che seguono trovate tutte le informazioni che vi servono per poter inviare anche un vostro contributo!

I fondi che raccoglieremo verranno devoluti in toto all’Oasi LIPU Bosco del Vignolo, in provincia di Pavia.

Sito web di Francesco Toniolo: https://www.francescotoniolo.com/

Dieta, Just Dance e YouTube: come ho perso 10+ chili grazie (anche) ai videogiochi

Partiamo dal presupposto che no, questo non è l’ennesimo articolo dedicato a una qualche dieta rivoluzionaria che promette, nel giro di due o tre settimane, di modificare completamente la vostra forma fisica. Questo è il racconto del mio percorso iniziato a Ottobre 2021 e conclusosi, almeno formalmente, ad Aprile 2022, quando la mia nutrizionista ha constatato che non avrei più avuto bisogno di sedute e appuntamenti fissi a cadenza mensile.

Partiamo però da questo presupposto: la mia era una condizione di sovrappeso (più o meno leggero a seconda dei punti di vista), e non di obesità (sicuramente più faticosa da correggere). Non mi vergogno a dire che sono arrivata a pesare quasi 69kg (contro i 58 di ora), perché sì, adoro il cibo, adoro andare al ristorante, sono abbastanza pigra e in più odio lo sport. Una combo spaziale! Ma dalla mia ho anche avuto la fortuna di nascere senza alcuna predilezione per alcool, bevande gassate, pane, spuntini di mezzanotte e altre abitudini poco salutari: si trattava solo di correggere quel poco che andava corretto, cominciando dall’introdurre una sana dose di attività fisica.

Per cui sì, in questo percorso non posso dire di essere partita in una posizione di svantaggio. Ma, allo stesso tempo, vedendo il feedback ricevuto dalle persone che mi conoscono, non me la sento nemmeno di sminuirmi. Anzi: ritengo che ognuno abbia i propri tempi per tutto, e che trovare il giusto ritmo sia la cosa più importante.

Alla fine, è tutta una questione di testa.

Indicazioni preliminari di massima e qualche consiglio

Ma entriamo nel vivo della questione: in che modo i videogiochi mi hanno aiutata a perdere, nel giro di circa un anno, 10 (e più) kg?

Al di là delle solite raccomandazioni (“munitevi di tanta pazienza e forza di volontà”), che, per quanto giustissime, avrete già sentito in tutte le salse, il primo consiglio resta pur sempre quello di rivolgervi a un dietologo/nutrizionista: l’esercizio fisico, per quanto imprescindibile, da solo non è sufficiente. In più, il pensiero di avere qualcuno che vi monitora costantemente può rappresentare un incentivo ulteriore a mettercela davvero tutta!

In secondo luogo, datevi obiettivi relativamente semplici, raggiungibili con il giusto quantitativo di sforzi (soprattutto nei primi tempi) – iniziare al fulmicotone è estremamente controproducente, sia a livello fisico, che psicologico: da Ottobre a inizio Dicembre 2021 io mi sono concentrata sull’andare a passeggiare in compagnia per almeno 30/40 minuti quasi ogni giorno finché il tempo ha retto (passeggiate a ritmo sostenuto, s’intende). Questa routine, accompagnata da una sana alimentazione (niente di troppo drastico, ma come dicevo questo punto è estremamente personale e non posso darvi dei veri e propri consigli senza conoscere la vostra condizione di partenza*) ha contribuito non solo a farmi smuovere dal mio peso iniziale (all’incirca 3kg se ne sono andati solo così), ma anche a mettermi nel giusto state of mind per continuare a impegnarmi successivamente.

Non aspettatevi una perdita di peso eccessiva in tempo record: meglio scendere piano, ma in modo costante, anche (e soprattutto) per far sì che il metabolismo si setti su un nuovo ritmo ed evitare di riprendere in poco tempo tutti i kg persi (nel mio caso, 1kg al mese nei primi tempi era già un ottimo traguardo, ma avvicinandomi al peso-forma la discesa si è fatta sempre più lenta, fin quasi a stabilizzarsi). Inoltre, non preoccupatevi delle continue oscillazioni della bilancia: ammesso che stiate seguendo un regime sano, sono assolutamente normali (anche in assenza di cause molto evidenti, come il ciclo, un’abbuffata, la pizza o il sushi la sera prima, ecc., il peso tende a variare per i motivi più disparati, ma ciò non vuol dire che i vostri sforzi non stiano servendo a niente!). Anzi, se potete (io ammetto di aver fatto molta fatica), pesatevi il meno possibile, giusto quanto basta per tenervi un po’ monitorati.

(*Eventualmente posso rispondere a qualche domanda nei commenti relativa al mio piano alimentare)

La playlist “Fitness”

Una volta terminato il periodo delle passeggiate, il ripiego ideale (diventato poi la mia nuova routine) sono state le sessioni di ballo col nostro amatissimo Just Dance (Ubisoft, 2009). Le possibilità sono due:

  • Avvalersi della modalità Just Sweat (introdotta con Just Dance 2)
  • Creare la propria playlist “Fitness” su YouTube e aggiungervi tutte le coreografie che desiderate riprodurre nel salotto di casa. Questa seconda possibilità vi evita la briga di dover acquistare la console, il gioco e anche di accertarvi ogni volta che le periferiche necessarie (come i telecomandi Wii Remote) siano tutte funzionanti

Va da sé che il suggerimento di supportare la casa di sviluppo sia sempre e comunque valido (io per prima ho acquistato in passato più di un’edizione di Just Dance), ma l’alternativa della playlist su YouTube (oltre all’aspetto del risparmio) valorizza sicuramente la comodità. Per cui: comprate i videogiochi, sempre, e considerate questo solo come un piccolo strappo alla regola data la particolarità della situazione (io non intendo ASSOLUTAMENTE incentivare la pirateria o la violazione del copyright!).

Ciò detto, ecco un esempio tratto dalla mia playlist:

Naturalmente, optare per la playlist “manuale” implica che sarete voi a dovervi regolare in autonomia su tempistiche e coreografie, ma non spaventatevi, non è niente di complicato. Anzi: per cominciare, potete usufruire delle compilation già create da alcuni utenti, come questa: Just dance 2019 – 30 minute of dance (io ho fatto così!)

Poi, poco a poco, imparerete sicuramente a gestire la vostra personale sessione di fitness con le canzoni che più gradite – a questo proposito, il mio consiglio è anche quello di munirvi di un Apple Watch, o comunque di uno strumento in grado di tenere conto del quantitativo di calorie che bruciate (per me è stato a dir poco fondamentale). In linea di massima (e sempre facendo riferimento alla mia esperienza), 30/35 minuti di danza + 5 minuti di ginnastica (qui un esempio di video utilizzato da me) rappresentano l’ideale (a volte sono arrivata a bruciare anche 200 calorie in una sola sessione!). Ma, ripeto, le variabili sono tante, a cominciare dalle coreografie che scegliete.

Fonte: Polygon

Questo è quanto: un insieme di abitudini alimentari sane unite a uno stile di vita meno sedentario. Dato che molte persone sono rimaste colpite dalla mia routine “ginnica” totalmente autonoma (e soprattutto molto efficace), ho pensato bene di creare questo post per condividere con tutti una parte fondamentale del mio percorso verso la perdita di peso, affossando, al contempo, la tesi decennale secondo cui i videogiochi sono solamente in grado di incatenarci davanti a uno schermo e farci prendere chili su chili.

Come tante altre cose, i videogames sono uno strumento, un mezzo, talvolta anche un’arma: i loro effetti dipendono spesso e volentieri dalle intenzioni di chi li usa!

The democratization of cinema and the importance of recordings. The concept of traveling images applied to videogames

L’elaborato, consegnato per il corso di Audiovisual Media Policies, propone una rapida riflessione sullo statuto dei videogiochi in quanto esempio molto particolare di “traveling images” (immagini in movimento), nonché una panoramica del fenomeno dei machinima (produzioni realizzate tramite il montaggio di spezzoni di gameplay).

L’elaborato è disponibile in forma completa (e al momento solo in lingua inglese) sul mio profilo LinkedIn.

Tra controversie e body positivity: il caso di Scarpette rosse e i sette nani

Scarpette rosse e i sette nani è un film d’animazione coreano che ci insegna ad andare oltre l’aspetto fisico, dimostrandoci che l’amore profondo e genuino possa nascere anche al di fuori dei canoni tradizionali di bellezza. Il problema? Una campagna promozionale per niente all’altezza di questa premessa.

Articolo completo disponibile su CIMOinfo.com

Scrat, la sua ghianda e la fine di un’epoca: addio, Blue Sky Studios

Per chi è nato e cresciuto nei primi anni 2000, un articolo come questo ha bisogno di poche righe d’introduzione. Oggi spendo due parole per commemorare la fine dei Blue Sky Studios, la casa d’animazione responsabile di prodotti come Robots (2005), Rio (2011), Epic – Il mondo segreto (2013) e (soprattutto) la saga de L’Era Glaciale (2002-2016).

Articolo completo disponibile su CIMOinfo.com